A cura degli Avv.ti Paolo Manca e Stefano Corda

Come è noto attraverso una lunga serie di provvedimenti di rango primario (Decreti Legge) e secondario (i D.P.C.M. emanati, ormai numerosi, e che trovano la loro base nella decretazione d’urgenza), adottati per affrontare l’emergenza sanitaria dovuta al virus Covid-19, il Governo ha inciso in modo radicale – e senza precedenti nella storia repubblicana – non solo sulla libertà di circolazione e di soggiorno dei cittadini, ma anche sulla libertà di iniziativa economica. Senza addentrarci in un esame approfondito degli aspetti di carattere squisitamente costituzionale, non praticabile nell’economia di questo contributo, le disposizioni adottate dal Governo, ad oggi, hanno inevitabilmente avuto delle ricadute sull’economia e precluso, da un certo punto in poi, alla maggior parte degli esercenti attività commerciali di poter proseguire l’attività in corso.

Con il decreto #iorestoacasa, più precisamente con il D.P.C.M. 11 marzo 2020 e del Decreto Legge 23 febbraio 2020, n. 6 che lo ha preceduto (si segnala che il Decreto Legge nr. 6/2020, convertito con modificazioni dalla Legge 5 marzo 2020, n. 13, è stato abrogato dal Decreto Legge 25 marzo 2020, n. 19, ad eccezione degli artt. 3, comma 6-bis, e 4), il Governo ha imposto la chiusura di tutte le attività commerciali ritenute non essenziali.

E’ chiaro ed evidente che quanto previsto per cercare di contenere al massimo l’epidemia ha causato, e sta causando, per gli esercenti interessati dalla chiusura, un drastico calo del fatturato determinando inevitabilmente delle difficoltà nel far fronte alle obbligazioni di pagamento del canone di affitto dell’immobile presso il quale viene svolta l’attività, in funzione della quale è stato sottoscritto il contratto di locazione.

Quali sono, pertanto, i rimedi attuabili dal conduttore dell’immobile a fronte di una situazione di oggettiva difficoltà?

In primo luogo, giova evidenziare come il Governo sia intervenuto con l’art. 65, comma 1, del Decreto Legge 17 marzo 2020, n. 17 (c.d. “Cura Italia”), prevedendo il riconoscimento, ai soggetti esercenti attività d’impresa, un credito d’imposta, per l’anno 2020, nella misura del 60% dell’ammontare del canone di locazione del mese di marzo 2020, per gli immobili rientranti nella categoria catastale C/1 (ovvero negozi e botteghe).

Non è stata quindi prevista, almeno per il mese di marzo 2020, alcuna sospensione del pagamento dei canoni di locazione ma solo, appunto, la predetta detrazione. Sul punto giova rilevare un dato che (non) emerge dai provvedimenti sinora adottati dal Governo. Ed infatti, dalla lettura di quanto sinora emanato per far fronte all’epidemia e ai suoi riflessi sul vivere del paese, salta subito agli occhi una ingiustificata, oltre che incomprensibile, esclusione di tutti i rapporti di natura privatistica, rispetto ai rapporti di natura pubblicistica e amministrativa. I rapporti di natura privatistica, che in sostanza non sono altro che i rapporti di natura contrattuale riferibili all’adempimento di obbligazioni pecuniarie e non, sono state tralasciate. Com’è possibile che il massimo organo decisionale del paese non abbia immaginato che, dalla situazione di emergenza in atto, deriveranno tutta una serie di patologie negoziali che incideranno in modo gravissimo sui rapporti interprivati e sull’economia?

Ad oggi, pertanto, l’unica misura prevista dal Governo che va nella direzione auspicata, è quella del già citato art. 65 del Decreto “Cura Italia”. Null’altro è dato scorgere. Alla luce di quanto appena fatto rilevare, e restringendo il campo all’oggetto del presente contributo, occorre analizzare quelli che sono i possibili rimedi attuabili da parte del conduttore in difficoltà a causa della chiusura della propria attività, che possiamo così sintetizzare: il conduttore potrà ottenere una sospensione temporanea dal pagamento del canone e/o una riduzione del canone stesso oppure, laddove valutato opportuno, potrà optare per la risoluzione del rapporto contrattuale?

Il contratto di locazione ad uso commerciale rientra nella categoria dei contratti a prestazione corrispettive ove, a fronte del godimento del bene locato (obbligazione che grava sul locatore) è previsto il pagamento di un canone di locazione (obbligazione che grava sul conduttore). E’ del tutto evidente che, la situazione attuale, ha determinato e sta determinando una grave alterazione del sinallagma contrattuale poiché a fronte del permanere dell’obbligazione di pagamento del canone, il conduttore si ritrova impossibilitato a godere del bene locato per tutto il periodo di chiusura imposto dalla decretazione d’urgenza.

E’ quindi possibile sospendere l’esecuzione del contratto nei mesi in cui vige tale squilibro contrattuale?

Vediamo nel dettaglio i riferimenti normativi.

In primo luogo l’art. 1256 del codice civile, rubricato “Impossibilità definitiva e impossibilità temporanea” prevede che: “L’obbligazione si estingue quando, per una causa non imputabile al debitore, la prestazione diventa impossibile. Se l’impossibilità è solo temporanea, il debitore finché essa dura non è responsabile del ritardo nell’adempimento. Tuttavia l’obbligazione si estingue se l’impossibilità perdura fino a quando, in relazione al titolo dell’obbligazione o alla natura dell’oggetto, il debitore non può più essere ritenuto obbligato a eseguire la prestazione ovvero il creditore non ha più interesse a conseguirla”.

L’impossibilità sopravvenuta che libera dall’obbligazione (se definitiva) o che esonera da responsabilità per il ritardo (se temporanea), deve essere obiettiva, assoluta e riferibile al contratto e alla prestazione ivi contemplata, e deve consistere non in una mera difficoltà, ma in un impedimento, del pari obiettivo ed assoluto, tale da non poter essere rimosso, a nulla rilevando comportamenti di soggetti terzi rispetto al rapporto.

Va ora esaminato l’art. 1464 del codice civile., rubricato “Impossibilità parziale“, che richiama espressamente il suesposto concetto di impossibilità parziale, il quale testualmente recita: “Quando la prestazione di una parte è divenuta solo parzialmente impossibile, l’altra parte ha diritto a una corrispondente riduzione della prestazione da essa dovuta, e può anche recedere dal contratto qualora non abbia un interesse apprezzabile all’adempimento parziale”.

E quindi, se da un lato il conduttore, nel periodo di chiusura imposto dalle autorità, non è responsabile del ritardo, paralizzando qualsivoglia richiesta di risoluzione per inadempimento, d’altro lato avrebbe altresì diritto a richiedere una riduzione della prestazione dovuta, da intendersi come una riduzione del canone annuale di locazione per i mesi in cui non ha potuto godere del bene.

In un’ottica più prudenziale, di interesse alla conservazione e continuazione del rapporto di affitto, se anche – come già detto – il ritardo non configura inadempimento, una volta cessata l’emergenza, e a seguito dei nuovi e sospirati introiti, il conduttore dovrà provvedere a versare quanto non corrisposto, senza alcun interesse, in assenza di un accordo bonario col proprietario dell’immobile locato. Accordo bonario che, per esempio, potrebbe prevedere il pagamento di quella parte del canone necessario per sopportare le trattenute fiscali del periodo di fermo, in un’ottica di leale collaborazione ed ispirato ai principi di buona fede e correttezza ex art. 1375 del codice civile.

L’art. 1467 del codice civile, invece, disciplina nell’ambito dei contratti ad esecuzione continuata o periodica, ovvero a esecuzione differita, la figura dell’eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili: fatti ovviamente non imputabili al contraente. In queste ipotesi, la parte che deve eseguire la prestazione (del pagamento del canone), può domandare la risoluzione del contratto, sempre che l’eccessiva onerosità non rientri nell’alea normale del contratto stesso (art. 1467, comma 2).

Tuttavia, alla stregua dell’art. 1467, comma 3, c.c. in ipotesi in cui le circostanze speciali, straordinarie e imprevedibili, rendano eccessivamente oneroso il contratto e sproporzionatamente gravoso l’adempimento in capo ad uno dei contraenti, le parti possono evitare la risoluzione del contratto modificandone le condizioni, salvaguardando così l’esistenza del vincolo contrattuale offrendo di ricondurre lo stesso ad equità. Dal punto di vista del conduttore il medesimo potrà invitare, ad esempio, il locatore a rinegoziare, temporaneamente o definitivamente, il contratto di locazione, fino al perdurare della crisi economica determinata dall’emergenza sanitaria. La ratio impressa dal legislatore è quella di porre rimedio a circostanze non previste al momento della stipula del contratto, che sposta su un contraente gli esiti negativi di un rischio non legato alla normale alea contrattuale.

Non pare ozioso ricordare che sarà opportuno che il conduttore formalizzi, con una comunicazione ad hoc, la richiesta di riduzione o sospensione dal pagamento del canone di locazione, instaurando una trattativa (o negoziazione che dir si voglia) con il locatore, adducendo le ragioni di sopravvenuta impossibilità ad adempiere gli obblighi contrattuali per cause di forza maggiore (motivi straordinari e imprevedibili), al fine di giungere ad una soluzione conciliativa, fermo restando che potrà essere nella discrezionalità del locatore l’accettazione o meno della proposta di riduzione o sospensione.

Da ultimo un ulteriore richiamo normativo utile nell’ambito dell’ipotesi in analisi, è quello previsto dall’art. 27, comma 8, Legge 27 luglio 1978, n. 392 – il recesso del conduttore per gravi motivi.

La citata norma prevede in ordine alle locazioni di immobili urbani adibiti ad uso diverso da quello di abitazione, che il sopravvenire di gravi motivi legittimerebbe esclusivamente l’esercizio del diritto di recesso: “indipendentemente dalle previsioni contrattuali, il conduttore, qualora ricorrano gravi motivi, può recedere in qualsiasi momento dal contratto, con preavviso di almeno sei mesi da comunicarsi con lettera raccomandata”.

E’ chiaro che, anche nell’ipotesi prevista dalla citata norma, la gravità della motivazione addotta debba avere carattere di oggettività, con la conseguenza che i fatti descritti devono sostanziarsi in eventi imprevedibili e sopravvenuti tali da rendere oltremodo gravosa per il conduttore la prosecuzione del rapporto locativo.